giovedì 23 febbraio 2012

Il consiglio provinciale ha approvato all’unanimità un ordine del giorno di Maria Rosa Zanacchi (Pd) per limitare la realizzazione e l’autorizzazione di impianti di biogas che non siano collocati presso le stalle delle aziende agricole e che superino i 250 KW di potenza .

Da Cremonaoggi.it
Il consiglio provinciale ha approvato all’unanimità un ordine del giorno di Maria Rosa Zanacchi (Pd) per limitare la realizzazione e l’autorizzazione di impianti di biogas che non siano collocati presso le stalle delle aziende agricole e che superino i 250 KW di potenza .
“Il territorio della Provincia di Cremona – ricorda Zanacchi nelle premesse dell’atto approvato – detiene il record nazionale di impianti di biogas autorizzati : essi sono complessivamente 125 , con oltre 130 MW di potenza”. Inoltre, “per alimentare un “digestore” da 1 MW occorre ogni giorno l’equivalente di 1 ettaro di terreno coltivato a mais al punto che a breve il 25% della superficie agricola provinciale sarebbe destinato a produrre mais da utilizzare negli impianti di biogas, sottraendo così terreno fertile alla produzione di alimenti umani ed animali”.
Nel documento si sottolinea poi che “è invece eticamente, culturalmente ed economicamente più corretto puntare sul binomio “agricoltura-ambiente” e sulla valorizzazione delle produzioni agricole, non basando l’integrazione al reddito solo sull’estensione bensì sulla qualità e sul recupero di sistemi colturali più sostenibili e meno invasivi ma non per questo meno efficienti”.
Alla luce di queste premesse, il Consiglio Provinciale , con l’approvazione dell’ordine del giorno, impegna la Giunta Provinciale “ad adottare provvedimenti che sostengano l’agroecologia favorendo le iniziative basate sul riuso , il riciclo, il rispetto dell’ambiente , le energie rinnovabili come il microidroelettrico e riportando il biogas al principio originario di valorizzazione di biomasse “non nobili” la cui “digestione” rappresenti un’alternativa a forme di smaltimento costose quali i rifiuti organici domestici, gli scarti della Grande Distribuzione Organizzata e quelli agro-industriali fermentescibili”.



Serbia: a MX Group l’appalto per 1 GW di fotovoltaico

Da ZeroEmission
L’italiana MX Group Spa si è aggiudicata l'appalto da 1,75 miliardi di euro per la costruzione in Serbia della centrale fotovoltaica più grande del mondo. L’assegnazione del maxi contratto è stata resa nota oggi in una conferenza stampa al Palazzo del Governo di Belgrado. La società italiana ha ottenuto l'incarico in esclusiva come EPC Contractor per la progettazione e la realizzazione di un parco fotovoltaico che si estenderà su una superficie di tremila ettari: l’area fotovoltaica sarà due volte più grande del parco solare californiano che deteneva il primato fino a oggi. Il committente è la società lussemburghese Securum Equity Partners Europe SA che ha sottoscritto un accordo quadro con la Repubblica di Serbia. Il 19 febbraio è stato firmato il preliminary agreement con MX Group Spa incaricata della realizzazione. "Onegiga Project" sarà costituito da cento impianti da 10 MW ciascuno, installati tra il 2013 e il 2015. Saranno utilizzate “aree marginali”, precisa una nota, e non “terreni agricoli”.

Grande soddisfazione per Carmelito Denaro, presidente e amministratore delegato di MX Group Spa: "Siamo orgogliosi di aver ottenuto questo incarico prestigioso e di enorme portata per le sue dimensioni, che comporterà inoltre l'apertura in loco di una fabbrica di pannelli fotovoltaici e di una società di EPC Contractor. Questo progetto porta MX Group e  le migliori tecnologie nel campo del solare in un'area europea di grande interesse economico e strategico. E' un riconoscimento anche al ruolo della nostra industria del settore, un impulso straordinario alla capacità produttiva della nostra impresa". Per l'impianto in Serbia la società Fimer sarà partner esclusivo di MX Group per la fornitura degli inverter. (f.n.)

martedì 21 febbraio 2012

Sottoprodotti agroindustriali per produrre energia: Nuovo valore agli scarti alimentari

"L'agricoltura è una produzione primaria, ma è anche energia. Ed è grazie all'agricoltura che è possibile presidiare il territorio tutelandolo dal disastro dell'abbandono, ottenendone di contro un'opportunità di investimento che non si può ignorare". Andrea Pannocchieschi, presidente di Agroenergia, non ha dubbi: il rapporto tra produzione agricola ed energia è inscindibile. "L'opportunità di fare reddito e investimenti sulla propria terra - afferma - è un vantaggio che il mondo agricolo ha saputo cogliere nella sua interezza, affrontando spesso impegni finanziari pesanti. La terra sa essere molto versatile e premia chi la sa sfruttare bene. Pensiamo a quanti ettari di terreno incolti o abbandonati possono essere destinati alla produzione di coltivazioni da impiegare negli impianti di biogas. Tutto sta nel trovare il giusto equilibrio. Guardiamo alla Germania che è leader nel biogas e nel fotovoltaico, e pensiamo all'Italia, che è costretta a importare l'85% dell'energia che consuma: il margine di intervento, come si vede, è considerevole".

Intanto nei prossimi giorni verrà presentato il secondo Osservatorio Agroenergia che quest'anno si è occupato delle tematiche legate all'utilizzo dei sottoprodotti agricoli. "Lo scorso anno - spiega Piero Mattirolo, ad di EnergEtica onlus, che insieme a Confagricoltura ha commissionato l'Osservatorio alla Società di ricerca Althesys - l'Osservatorio si era occupato dell'aspetto economico, degli incentivi e della sostenibilità, e i dati raccolti avevano messo in evidenza che il settore delle agroenergie può portare all'Italia nei prossimi dieci anni fino a 20 miliardi di euro di benefici insieme a una drastica riduzione di emissioni di Co2, pari a qualcosa come 280 milioni di tonnellate". Quest'anno invece i sottoprodotti.

"Infatti - sottolinea Mattirolo - abbiamo ritenuto importante studiare i possibili scenari sull'impatto che possono avere, quali sono le criticità e gli ostacoli legislativi che tuttora ne rendono insidioso l'impiego. Le potenzialità a nostro avviso ci sono; bisogna stabilire l'effettivo potere metanigeno dei sottoprodotti rispetto al mais e confrontare le differenze dei costi di produzione tra le due tipologie di produzione".

E sarà proprio il presidente di Agroenergia Pannocchieschi uno dei protagonisti del secondo seminario Food Bioenergy che anche quest'anno si svolge nell'ambito di BioEnergy Italy, il punto di riferimento fieristico per le fonti rinnovabili di energia (Cremona, 15-17 marzo 2012).

L'appuntamento, in programma il 15 marzo alle ore 10,30, metterà in luce importanti possibilità di risparmio economico per le aziende agricole e l'industria agroalimentare, illustrando alcune delle soluzioni più interessanti per il comparto agricolo e industriale in tema di recupero degli scarti e recupero di calore dal processo di trasformazione degli stessi.

Al limite della produzione di petrolio convenzionale

Da QualEnergia.it
Dal preconsuntivo 2011 dell’Unione Petrolifera sull'attività petrolifera (vedi allegato in basso) emergono chiaramente conferme dello stallo in cui versa la coltivazione delle riserve convenzionali di petrolio su scala mondiale. Il dibattito aspro sulla collocazione temporale del picco di produzione del greggio sembra appartenere al passato.
L'evidenza dei dati ha portato la sfida dialettica su altri temi: implicazioni della produzione petrolifera sulle crisi economiche, e in particolare su quella attuale (Qualenergia.it, Domanda e offerta di petrolio nel tempo della crisi), stabilità economica internazionale e sicurezza energetica, variazioni del prezzo del petrolio e ricadute sulla transizione verso l'economia low carbon.
Sebbene siano di primaria importanza, questi argomenti rischiano tuttavia di svolgere una funzione diversiva e distogliere l'attenzione dal problema geoeconomico fondamentale della limitatezza delle risorse. Si allinea alla tendenza anche la IEA che avendo fatto proprio il grido d'allarme sugli esiti nefasti per il clima dello scenario energetico business as usual (+6 °C entro la fine del secolo), ha lanciato il gas come risorsa prevalente del mix energetico mondiale dei prossimi decenni, nel Golden Age of Gas Scenario (Qualenergia.it, Età dell'oro per il gas, ma non per il clima), ufficializzando implicitamente per il petrolio l'ingresso nell'era del picco.
La produzione di petrolio quindi non riesce più a sostenere l'aumento della domanda che, malgrado il rallentamento dell'economia, ha fatto registrare comunque nel 2011 un aumento di 0,9 milioni di b/g (+1%). La crescita della domanda continua a essere trainata dai Paesi non OCSE (+3%), in particolare dalla Cina (+5,2%) con significativi contributi anche dai Paesi ex URSS (+4,3), dagli altri Paesi asiatici (+3,2%) e dell'America latina (+3%). Complessivamente i Paesi non OCSE sono prossimi al 50% dei consumi mondiali. L'offerta petrolifera mondiale (88,5 milioni di b/g), lo scorso anno non è stata in grado di soddisfare la domanda (89, 2 milioni di b/g) e la IEA si è vista costretta a deliberare il rilascio delle scorte obbligatorie.
Venendo meno la produzione libica (-1,6 milioni di b/g), per i noti fatti bellici, e una quota di quella dei Paesi non Opec (in calo strutturale dello 0,2%), l'incremento delle produzioni saudita (+1,1 milioni di b/g) e irachena (+0,4 milioni di b/g) è stato insufficiente a coprire il deficit. Neanche il lieve aumento dei contributi di altri due grandi produttori - il primo in assoluto, la Russia (10,5 milioni di b/g) e tuttora il terzo, gli Stati Uniti (8,0 milioni di b/g) – è risultato significativo.
Queste problematiche hanno avuto immediate ripercussioni sui prezzi del barile. Il Brent per esempio, nel periodo aprile 2010-aprile 2011 ha subito un aumento che ha portato il prezzo medio di oscillazione semestrale da circa 75 $ a 110 $, e ha raggiunto una quotazione media annuale (2011) di 111,4 $ (+40% rispetto al 2010).
Ma sono soprattutto altri dati offerti dal rapporto UP che si prestano a interpretazioni sui fondamentali di lungo periodo dell'upstream petrolifero: il valore medio annuo del mix di greggio importato dai Paesi OCSE ha toccato il record storico assoluto, in termini sia nominali sia reali, di 106,8 $/b; il prezzo medio decennale 2001-2010 del Brent è salito del 218% rispetto agli anni 1990 (da 18 $ a 57,2 $).
Si tratta di aumenti consolidati che superano la volatilità dei prezzi del greggio spesso associata da molti analisti, come effetto primario, alla finanziarizzazione del mercato del petrolio nel sistema dei titoli a futuri. Le implicazioni del mercato dei future sulla formazione del prezzo non sono in discussione, vista la caratteristica altamente speculativa di questo mercato che è capace di accogliere flussi ingenti di capitali provenienti dal altri settori finanziari e può scambiare in un giorno più dell'intera produzione annuale di petrolio. Tuttavia la sofferenza del rapporto offerta/domanda, ormai in deficit dal 2009, segnala probabilmente il compimento del percorso che ha condotto al limite superiore di produzione del petrolio convenzionale.
I prezzi alti sono ovviamente bene accolti dall'industria estrattiva anche in prospettiva dello sfruttamento delle risorse non convenzionali che presentano costi operativi e ambientali ingenti. La leva dell'impatto economico può così diventare uno strumento motivazionale, a sostegno dei progetti di sviluppo minerario, ancora più consistente nel periodo di crisi. Può beneficiare di questo aspetto anche il settore del gas, non del tutto svincolato dalle dinamiche di prezzo del petrolio, in particolare in Italia.
Suonano come una conferma le recenti dichiarazioni di Stefano Saglia, ex sottosegretario del Ministero dello sviluppo e componente della Commissione Attività produttiva della Camera, sull'opportunità economica di ampliare i limiti di ricerca, sviluppo e coltivazione di idrocarburi per l'offshore nei mari italiani.

lunedì 20 febbraio 2012

Come funziona un impianto di biogas?

Il Parlamento europeo in soccorso del prezzo della CO2

Da QualEnergia.it
Novità da Bruxelles sul fronte del mercato delle emissioni:  il Parlamento europeo prende posizione ufficialmente e spinge la Commissione ad agire. L'Europa deve intervenire per far rialzare il prezzo della CO2 e può farlo togliendo dal mercato i permessi ad emettere in eccesso, dice la nuova risoluzione, che chiede che la Commissione “ritiri dal mercato la quantità necessaria di permessi” per far tornare i prezzi a livelli adeguati.
L'allocazione troppo generosa di permessi ad emettere nell'ambito dell'emission trading europeo, unita al rallentamento economico ha portato a un crollo del prezzo della CO2, accelerato nell'ultimo anno. A dicembre si è toccato il minimo storico di 6,51 euro a tonnellata, meno della metà degli oltre 14 euro/t di inizio 2011 (oggi siamo a 9,25 euro/ton).
Molte tra le industrie coinvolte nell'Emission Trading System (ETS) al momento non devono praticamente fare alcuno sforzo per ridurre le proprie emissioni. Tra gli Stati membri quasi due terzi sono già sulla strada per superare i propri obiettivi al 2020 senza dover adottare misure aggiuntive. I bassi prezzi dei permessi a emettere  – spiega un recente documento di lavoro della Commissione  - rischiano di immobilizzare l'Europa, frenando gli investimenti per ridurre la CO2 qui e ora, facendo lievitare i costi per la mitigazione che si dovranno sostenere dopo il 2020.
Già a fine dicembre il Parlamento aveva approvato la proposta di togliere dal mercato delle emissioni 1,4 miliardi di permessi ad emettere per la terza fase dell'EU-ETS, che inizierà nel 2013. Nella nuova risoluzione non si dice più di quanto si dovrebbe tagliare, ma, novità rilevante, si spinge la Commissione ad intervenire prima che scatti la terza fase, a gennaio 2013.
Non quantificare il volume di permessi da ritirare, spiega alla stampa Bas Eickhout dei Verdi olandesi, è stato necessario per avere un appoggio il più vasto possibile alla nuova risoluzione, che godrebbe di un consenso maggioritario e dovrebbe essere approvata il 28 febbraio nell'ambito della discussione sulla direttiva efficienza. La risoluzione ovviamente non obbligherà la Commissione ad agire, ma si aggiunge alle pressioni che vengono da più parti, compresi importanti gruppi di investitori.
“Se l'Europa non agisce sul prezzo della CO2, solo in Germania metà degli investimenti low carbon necessari diverrebbero economicamente non convenienti”, fanno sapere l'associazione tedesca per l'emission trading (BVEK) e Climate Markets and Investment Association. Contro la proposta di riduzione del volume dei  permessi sul mercato si schierano ovviamente alcuni rappresentanti delle industrie più energivore.
Un prezzo più alto della CO2 darebbe uno stimolo significativo a tutto il comparto europeo della green economy, spingendo le imprese ad investire di più in efficienza energetica e in fonti rinnovabili. Che ridurre i permessi ad emettere assegnati possa essere vantaggioso per l'economia del vecchio continente, d'altra parte, lo aveva notato la stessa Commissione in un recente documento in cui, si vanno a quantificare costi e benefici di un innalzamento dell'asticella dell'obiettivo sulle emissioni per il 2020.
Se si tagliassero le emissioni del 30% rispetto ai livelli del 1990 (anziché del 20% come attualmente previsto), riducendo di conseguenza i permessi ad emettere assegnati, l'aumento di prezzo di questi ultimi si tradurrebbe in 7 miliardi l'anno in più che dall'ETS verrebbero redistribuiti agli Stati membri; un beneficio che si aggiunge a quello sul risparmio sulle fonti fossili (fino a 31 miliardi di euro l'anno) sulle spese sanitarie (fino a 7,6 miliardi l'anno) e ad altri non quantificati nello studio della Commissione come i nuovi posti di lavoro, la ricchezza creata e i danni ambientali evitati.

lunedì 13 febbraio 2012

Spagna: sospesi incentivi alle rinnovabili febbraio 10, 2012 da Redazione

La Spagna ha deciso di sospendere gli incentivi per la costruzione di nuovi impianti produttori di energia pulita. Il blocco degli incentivi alle Rinnovabili è stato stabilito dal governo spagnolo nell'ambito della manovra esecutiva atta a ovviare alla crisi economica in cui imperversa il paese, e, per non gravare ulteriormente sulla spesa pubblica. Non indifferenti le azioni di protesta già intraprese e minacciate da parte delle associazioni di settore.
Il nuovo governo di Mariano Rajoy ha infatti preso atto della situazione finanziaria del paese che ''rende consigliabile eliminare per il momento tali aiuti''. Assicura il governo che la manovra non avrà esito retroattivo su quelle azioni già elette a finanziamento. In oltre - assicura il governo con una nota finale - “La misura non metterà a rischio la sicurezza degli approvvigionamenti né il raggiungimento degli obiettivi in materia di energia rinnovabili presi con l’Unione europea”, d'altra parte, “mantenere l'attuale sistema di incentivazione non è compatibile con la situazione di crisi economica e il calo della domanda”.
La Spagna è fino ad oggi il maggior fornitore di energia pulita prodotta da impianti del settore Rinnovabili, in Europa, a fianco della Germania. Specie in materia di Eolico, la Spagna, proprio in funzione degli incentivi elargiti per i nuovi impianti, rappresenta il vero leader di produzione in Europa. Il rischio è di non riuscire a garantire l'apporto di energia pulita entro il 2020, in merito al raggiungimento degli obiettivi europei (20/20/20) e cioè del 20% di produzione energetica proveniente da Rinnovabili: Madrid rassicura che in questo senso non ci saranno ritardi o mancanze.
La situazione economica della Spagna, che già durante il governo Zapatero aveva causato tagli consistenti agli incentivi per il Fotovoltaico, non è dissimile da quella italiana. Il rischio è che si proceda in tal senso anche in Italia.